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Il tenente Ottomano

Analisi di un film che non avrei mai scritto


Girato nel recente e vicino 2017 da Joseph Ruben, "Il Tenente Ottomano" è un film storico che ha forti connotazioni romance e che annovera nel proprio cast uno splendido Michiel Huisman (il tenente Ismail Veli, del titolo) e la volenterosa ma poco conosciuta attrice islandese Hera Hilmar (l'intrepida Lillie Rowe). Con loro Josh Hartnett (il valente ed eroico dottor Jude Gresham) e il veterano (e sprecato) Ben Kingsley (il dottor Garrett Woodruff).




Ci troviamo a ridosso del Primo conflitto mondiale e Lillie, infermiera di famiglia molto agiata, per non dire ricca, nutre ideali che la ascrivono nella scomoda casella di femminista ante litteram e suffragetta nel modus operandi. Naturalmente tutto questo, che non sappiamo come le scaturisca o da dove, la caratterizzano nel compiere sempre la scelta scomoda, voler curare un afro americano in un ospedale "da bianchi", incontrare il medico Jude Gresham in città per delle conferenze che illustrano la condizione della missione medica di Van, in Anatolia. (la mia domanda è stata: ma quella del Gatto turco di Van?) e decidere che siccome il proprio fratello (medico) è morto senza poter usufruire di attrezzature per cure ospedaliere, comprate da lui o per lui, che resterebbero inoperose, di donarle al medico americano. Il problema è che il dottor Gresham non può portare con sé il camion ambulanza o altro perché le linee ferroviarie sono inesistenti o fatiscenti e quindi la nostra Lillie decide, da brava giovane dabbene che ha passato la vita nell'ovatta e senza nessun'altra attitudine a sostenerla che un ideale di giustizia sociale, che nessuno capisce da dove le salga su, di consegnare ella stessa per nave attrezzature e furgone in Anatolia. Così decide, nonostante il parere contrario dei genitori, incisivi come un moscerino in un orecchio e così fa.

Giunta in Turchia incontra per caso il tenente Ismail Veli che la aiuta in una circostanza e quando deve assoldare dei militari per farsi scortare verso la missione medica americana, fa il nome del recalcitrante tenente.

Le scene sono di una noia mortale, nonostante l'impegno degli attori e il dispiegarsi dei paesaggi, di sicuro belli, ma anche quelli se non visti almeno inquadrati esattamente come ci si aspetterebbe. L'assalto dei banditi che fa smarrire loro le attrezzature, il tempo passato insieme, l'arrivo alla missione, le opposizioni e tutto il corollario di spunti spuntati che ci si aspetterebbe fanno la loro comparsa in scena esattamente per condurre Ismail e Lillie verso l'amore più romantico e sfortunato che si desideri (perché si sa che se il grande amore fa una brutta fine allora il successo è assicurato) e che potrebbe essere stata la molla che ha fatto mettere su questa storia.


Non mi soffermerò sulla banalità dei dialoghi, sulla pochezza della trama, inserita in un contesto storico ben preciso che, purtroppo, ignora una parte sostanziale della propria storia (gli Armeni e la loro sistematica distruzione è pressoché ignorato come tema) ma su come avrei scritto la storia.

Parliamo di un romance storico, il film lo è a ogni effetto. Disponendo di un tempo di almeno due ore, avrei inserito qualche cosa che giustificasse agli occhi di chi si accosta al film tutto quello che caratterizza Lillie: lei è bella, idealista, intrepida, sa pilotare il furgone, va a cavallo, si batte per l'uguaglianza razziale che nemmeno Rosa Parks...ma due minuti per farci capire come arriva una donna del suo ceto sociale a questa consapevolezza e al saper fare tutto questo? Ho trovato detestabile che sul treno che li porterà verso Van lei per rimarcare quanto pensa e crede vada a dare lezioni di vita e comportamento ad un tipo mai visto e conosciuto solo perché non si attaglia alle sue idee e a come lei crede che debba andare il mondo. Non è essere idealisti ma arroganti e c'è un mondo di differenza.

Naturalmente dopo l'assalto dei banditi è rimasto solo il cavallo di lui e devono arrivare a Van con quello, entrambi. Per far avvicinare i due protagonisti non basta che lei sia “bella e ricca e intrepida e suffragetta nell’anima” e lui “bello, disposto non si sa perché a mettere da parte la sua cultura e quella imperante e assecondare una tizia mai vista nel fare quello che fa”. Bisognerebbe avere un contesto, qualcosa che li lega, qualche cosa che li accomuna e che dia l'dea che se i due finiscono con il piacersi & innamorarsi è naturale, non che suggerisca che siccome la storia è stata pensata per il personaggio X e la personaggia Y allora loro devono necessariamente convolare ad amore romantico.


Questo genere di scrittura è noiosa, vuota e sciocca e purtroppo caratterizza la maggior parte delle cosiddette opere romance cartacee o filmiche, un po' come “Corinna la regina dei mari” di K. McGregor ( e non è la sola, purtroppo ma tratta di donne in nave e quindi mi ha colpito) in cui lei è bella, intrepida e indomita, per dei motivi che non dico sale sulla nave del corsaro/pirata figo da morire e lei che manco sa che cosa sia un timone impara solamente restando lì sopra, diventa la più brava, eroica ecc…Ora, va bene equipaggiare i propri protagonisti di cose che sanno fare e non è necessario documentarle come in un saggio storico, perché il romance non è il genere e perché sarebbe controproducente, ma si potrebbe dare una motivazione almeno valida di quello che una che è sempre vissuta in un contesto decisamente diverso o opposto sa fare? Ma a nessuno viene in mente che le donne per secoli e secoli, ricche o povere, erano destinate solo ed esclusivamente al matrimonio e che ci sono voluti sangue, sudore, lacrime e prigione perché noi oggi potessimo spezzare le catene e poter studiare, lavorare, esprimere un parere, fare scelte, decidere se sposarsi o meno, senza che nessun uomo o altri al mondo ci debbano dare un permesso?


Non ho scritto di Veronica così a caso (Il Destino è il mare), l’ho dovuta necessariamente inserire in un contesto di vissuto personale e poi di avventure ben calibrato perché ho scritto sì un romance, ma storico. Fosse stato sci fi, distopico o che so io, avrei avuto maggiore libertà di manovra. Idem per questo film. Il contesto storico è usato malissimo, in parte zoppica, in parte è lo sfondo, i personaggi, anche il dottor Jude oltre a Ismail ruotano attorno ad una donna che, poco che fosse, avrebbero dovuto giudicare stramba, se volevano restare minimamente inseriti nel loro contesto storico o culturale.

Invece no, entrambi se ne innamorano pazzamente, con tutti gli scontri e le conseguenze del caso.

Il triangolo amoroso ha anche un po' stancato, da Twilight ai vari Diari di vampiri in poi, ci ha un po' fracassato le orecchie.

Lei bella intrepida eroica che è contesa da due fighi paurosi che manco al concorso di mister Universo e che guarda il caso nonostante lei sia decisamente fuori dalle righe non solo non lo trovano disdicevole, ricordo che il film è ambientato nel 1914, ma è uno dei motivi che smuove il loro cuoricino dannato.


Non si scrive così una storia romance, soprattutto se è storica. Si creano dei personaggi, si dà loro spessore, due righe per dare a chi legge un po' di rispettoso contesto non ci stanno mai male e soprattutto non li si porta qui e lì solo per colorare la storia prima che finiscano "ovviamente" uno tra le braccia dell’altra.

Devono condividere qualcosa, fosse la semplice simpatia, ammirazione o ideale reciproco.

Il “lui è bello” e “lei è bella” ha francamente stancato esattamente come lui è abusante, lei inciampa anche da seduta ha davvero esacerbato la funzione intestinale regolare. Non dico che si debba per forza imitare Diana Gabaldon e parlare delle mestruazioni di Claire o di come andassero “in bagno” in mezzo ad un bosco, ma l’ho sempre trovato splendido, perché se Jason Bourne non dorme, beve poco, non mangia e passa tutto il tempo a fare inseguimenti e a mazzate, si tratta di un genere che ha in quelle mazzate il proprio nerbo e anche se non è detto che io voglia vedere Lillie che fa pipì, almeno non fatemeli arrivare alla Missione medica lindi e pinti dopo due giorni a cavallo, senza bere, mangiare o espletare i bisogni corporali. Idem per il cavallo che viene trattato sempre in ogni film o serie tv come una macchina che si accende o spegne al bisogno.

Avrei francamente fatto a meno di vedere il film e spesso sono stata sul punto di cliccare su Stop, ma Michiel è Michiel e oltre ad essere uno spettacolo della Natura dà senso al proprio personaggio, almeno il minimo per poter dare un cinque meno complessivo all’intero film. La sua onesta parte la interpreta, il compito lo porta a termine, esattamente come Hera Hilmar o il male usato Josh Hartnett o lo sprecatissimo Ben Kingsley. Non bastano attori degni del nome per tenere su un film che fa acqua davvero.

Davvero una disdetta, poteva essere una grande storia ben raccontata.

Poteva.

Non lo è stata.



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